domenica 10 settembre 2017

Cima Tosa , giorno 2

Dopo una notte di un riposo sorprendentemente buono, è arrivata finalmente la giornata della salita alla Cima Tosa. La sveglia non è nemmeno selvaggia, sono infatti le 6:30 quando ultimo fra i presenti in camera decido di scendere a fare colazione. Il caffè servito è di quello tipo all’americana: tazza gigante di almeno un quarto di litro. Sapendo la faticaccia che mi aspetta, mi ingozzo di pane burro e marmellata fino a scoppiare per mettere “benzina nel motore” e una volta terminato esco nella spianata che ospita il rifugio. La luce del sole mattutino che illumina il Brenta e l’aria di una freschezza impareggiabile, inevitabilmente danno la carica per completare i preparativi per la partenza. La cosa a cui presto più attenzione è di lasciare al rifugio tutto, ma proprio tutto quello che non serve, per cercare di alleggerire al massimo il peso da portare appresso.
Sono circa le 7:20 quando parto attaccando il sentiero Brentari, per recarmi alla base della via normale della salita alla cima. Porto  ancora con me le incertezze legate al fatto di salire da solo quei 30 metri di arrampicata di cui tante volte ho letto sulle varie relazioni. In cuor mio spero che una volta arrivati alla base della parete incontrerò qualcuno in modo da potere farmi assicurare e salire con meno patemi d'animo. Il sentiero per arrivare ai circa 2850 metri dell’attacco è tutto sommato breve e in neanche un'ora compare davanti ai miei occhi un asterisco rosso, pitturato su di un grande sasso che indica la via per la cima. Durante il tratto di avvicinamento sul sentiero vedo transitare dietro a me diverse persone e quindi spero vivamente di trovare qualcuno che possa fare una cordata classica con me. Ma le persone che transitano, al bivio per “la normale” tirano tutte diritto sul sentiero, probabilmente con obiettivo il rifugio Dodici Apostoli.

Dopo 20-25 minuti di attesa invano, mi rassegno:  devo iniziare a pensare alla manovra di autoassicurazione se voglio davvero arrivare in cima, in libera pura non me la sento. In mattinata il gestore del rifugio  Pedrotti mi ha consigliato di salire su una nuova linea chiodata da lui proprio quest'anno, che dal punto vista di tecnico  mi viene definita di grado III, a differenza del grado II+ di quella vicina sul camino che si vede a sinistra. Tuttavia la via consigliata dal gestore, sebbene di grado superiore, presenta tre chiodi in successione abbastanza vicini fra di loro, direi  a circa 4 metri uno dall’altro, ma sopratutto bene in vista e questo mi pare un elemento importante. Tiro fuori la corda dallo zaino e la aggancio al fittone alla base della parete, e decidendo di procedere per la via consigliata per gradi, tenendo a portata una maglia rapida in modo che se arrivato ad un chiodo, decidessi di tornare indietro in corda doppia potrei farlo senza alcun problema. 

Arrivare al primo chiodo è realmente semplice, aggancio il rinvio al chiodo e sul capo libero della corda rinviata applico il nodo autobloccante prusik. Il primo passo è fatto! Il secondo chiodo è bene in vista e anche l'arrampicata per arrivarci non sembra particolarmente difficile. Con molta attenzione proseguo e ci arrivo rilassato. Rinvio anche su questo la corda e sono quasi a metà del primo tiro. I passaggi per il terzo chiodo sembrano i più difficoltosi, ma in realtà è la percezione data dal pensiero di essere solo e in auto sicura che mette un po' di soggezione. Dopo un attimo di scrupolosa osservazione mi pare di cogliere una serie di appoggi che dovrebbero garantire una salita  in  sicurezza. Non essendo come ho già scritto un grande coraggioso, raccolgo le forze e con grande soddisfazione arrivo al terzo chiodo dove posso nuovamente rinviare. Da lì  vedo la sosta intermedia della via e arrivarci è quasi un gioco da ragazzi. Mi assicuro alla sosta e con grande piacere ho in vista diretta anche la sosta successiva che è anche la fine della via. I passaggi sembrano davvero semplici, e decido quindi di puntare direttamente al fittone, dove arrivo facile. E’ fatta! Predispongo la piastrina per la discesa in doppia durante la quale recupero i rinvii. Arrivato al punto base di partenza sgancio la corda e con la sicura del nodo autobloccante sui due rami di corda che ora scendono dall’alto salgo in un attimo nuovamente in cima ripetendo la via, ma questa volta con la scioltezza regalata dalla tranquillità di una sicura dall’alto. In sommità recupero tutta la corda, la ripongo ordinatamente nello zaino e sono pronto per affrontare i restanti circa 300 metri di dislivello che separano dalla cima.

Se si pensa di essere arrivati finito il tratto di arrampicata, ci si sbaglia di grosso, c’è da faticare ancora parecchio. La salita richiede la costante ricerca visiva dei cosiddetti “ometti” di roccia: dei mucchietti di sassi a vista posati con lo scopo di indicare la giusta via. Non si presentano difficoltà particolari, ma guardando verso il basso, ho la sensazione che se si dovesse scivolare, specie in certi punti, non ci si fermerebbe tanto velocemente. Quindi sempre massima concentrazione, credo che molti incidenti in montagna avvengano per distrazioni, ma su questo aspetto sono tranquillo perché quando salgo non faccio mai calare il livello dell’attenzione. Dopo una mezz’ora la pendenza inizia a diminuire, fino praticamente a spianare su un grande terrazzo sassoso, dove non vi è la quasi minima presenza di neve e ghiaccio, se non in qualche fenditura più protetta dai raggi solari. Quest’estate torrida ha lasciato il segno.
In lontananza scorgo due ragazze su un piccolo rilievo rispetto al pianoro, che capisco essere la cima. 
Non mi vergogno per nulla nello scrivere che l’emozione è forte. Tipica di quando porti a compimento un progetto a cui pensi da anni e che ti era sempre sfuggito di mano. 
Sono circa le 10.45 e arrivo in vetta alla Cima Tosa. Il panorama per tutti i 360 gradi è strepitoso, impareggiabile. Di foto ne avevo viste tante, ma essere lì di persona è davvero tutta un’altra cosa. Dopo pochi minuti le due ragazze partono per la discesa e ho quindi il privilegio di stare da solo in cima alla regina del Brenta in un silenzio che quasi smarrisce, anche commuove.

Ci passo circa un’ora e mezza, ma non mi stufo per nulla, continuando a guardarmi attorno, incantato da tanta incontaminata bellezza. Alle 12.30 circa, dopo essermi rifocillato, mi incammino per il ritorno al rifugio. 

Mi viene da salutare la montagna, rispettosamente, quasi a farmi promettere da Lei che almeno un’altra volta mi accoglierà di nuovo e che un giorno tornerò lassù, dove ti pare ti toccare il cielo e la mente vola leggera e felice. 

Scendo fino alla sosta superiore della parete verticale e con manovra in corda doppia mi calo nuovamente alla base del salto di roccia. Recupero corda e materiale e imbocco all'incontrario il sentiero Brentari per tornare al rifugio Pedrotti. Ho finito acqua e sali da bere e sudando ancora come un cammello ho una sete mostruosa. Verso le 14.00 sono di ritorno al rifugio dove mi “lancio” a bere, appunto, come un cammello.

Gran parte dell’avventura è andata, e come sempre mi capita in questi frangenti provo una grande gioia per essere riuscito, e un filo di malinconia perchè è quasi tutto finito.
Mi prendo un’ora e mezza comoda per riposare, godermi il panorama comodamente seduto su una panchina del rifugio, salutare il gentilissimo personale, per poi incamminarmi per la discesa. In circa 2 ore sono al parcheggio Val Biole e questa volta la “spedizione” è davvero finita. 

E’ stato bello, bellissimo, lo ricorderò a lungo. Un ringraziamento particolare ad Angelo, senza le sue indicazioni, e la corda leggera che mi ha prestato, non sarebbe stato possibile.
Spero che questo pezzo, eccezionalmente in due puntate (così festeggiamo anche il decennale del blog), sia di stimolo per qualche lettore per pensare di fare questa salita. Ne vale davvero la pena.

martedì 5 settembre 2017

Cima Tosa , giorno 1

Da tanto tempo avevo in mente di salire sulla cima Tosa, nel cuore delle Dolomiti del Brenta, ma per i motivi più vari, primo fra tutti la difficoltà di trovare un compagno di avventura disponibile nelle mie poche date a disposizione, il progetto era sempre naufragato.
Sì, perché per salire la Tosa dalla via normale c’è un tratto di arrampicata di circa 30 metri, non molto difficoltoso (II-III° grado), ma che in caso di caduta è facile immaginare quali conseguenze comporti. Necessario quindi, a meno di essere dei campioni con un margine di sicurezza estremo o dei folli, salire in cordata assicurati. Per come la penso io poi, anche se sei un campione che sale su un tratto molto semplice l’imprevisto è sempre in agguato e se cadi, campione o non campione, non avrai la possibilità di raccontarlo. Di errori di quel tipo se ne fa uno solo. Inoltre non sono di certo un coraggioso, ma un discreto pauroso da questo punto di vista.
Anche quest’anno avevo programmato la salita della regina delle dolomiti del Brenta, 3170 m, per la fine di Agosto, ma nemmeno questa volta ero riuscito a trovare un amico che potesse condividere con me l’avventura.

Preso dallo sconforto ho consultato il mio amico Angelo, di nome e di fatto in quanto mi da sempre consigli preziosi in materia e anche fatto da capocordata in una bella via, nonché alpinista di livello molto superiore al mio. Angelo mi ha descritto la tecnica dell’autoassicurazione, e detto che nel caso nella normale della Tosa la cosa era fattibile sia perché avendo scalato assieme il mio livello tecnico era più che sufficiente, sia perché le laboriose manovre si dovevano fare una volta sola.
Preso dall’entusiasmo per questa possibile soluzione, ho rotto ogni indugio e deciso per la salita in solitaria…..forse ancora più stimolante dal punto di vista dell’avventura.

Dopo avere consultato le varie relazioni (in rete si trovano davvero molte indicazioni ben fatte) ho deciso subito che la salita andava suddivisa in due giorni. Il primo con avvicinamento al rifugio Pedrotti, il secondo la cima partendo dal rifugio di buona mattina.
Consultando carte e relazioni, si prospettavano due soluzioni : la prima con partenza dal rifugio Valesinella sopra Madonna di Campiglio, la seconda dalla zona Molveno-Andalo. Dopo vari ripensamenti la scelta è ricaduta sulla zona di Andalo-Molveno, se non altro per il più breve viaggio in macchina, sia per la maggiore spettacolarità del percorso di avvicinamento che percepivo.
Molte relazioni citavano la zona di arrivo della funivia del Pradel di Molveno come punto ideale di partenza, ma volendo fare una salita “pulita” ho voluto rinunciare alla funivia e ho deciso di lasciare la macchina al parcheggio Val Biole appena sopra Andalo, a circa 1180 metri di quota.

Dopo avere provato le manovre di sicurezza e di corda in un prato pendente, arriva il giorno della partenza.
GIORNO 1 – Parcheggio Val Biole – Rifugio Pedrotti
Frequentare l’alta montagna richiede un primo step fondamentale per la sicurezza : l’osservazione delle previsioni meteo che al giorno d’oggi sulle 48 ore hanno un livello di precisione notevole. Da tempo mi sono convinto che il sito migliore, anche se forse meno conosciuto, sia 3B Meteo e le previsione per il giorno 1 dicevano temporali dalle 17.00 in poi.

Alle 11.00 circa sono quindi al parcheggio Val Biole, smanioso di partire per i 2500 m del rifugio Pedrotti dove da un paio di giorni ho prenotato il pernottamento.
Il tempo pare molto buono, e non si vedono nubi all’orizzonte. Fa caldo, molto caldo e nello zaino carico ben 4 litri di sali minerali. Serviranno nei miei piani anche per il giorno 2 e  mi sembra “tanta roba”, ma mi accorgerò ben presto che le stime erano in difetto.
Assieme ai 4 kg di abbeveraggio nello zaino ci sono: 4 panini, 60 metri di “mezza corda” (prestata generosamente da Angelo) , tutti i ferri del mestiere (imbrago, kit da ferrata, 5 moschettoni, 4 rinvii, discensore a piastrina, 3 cordini in kevlar, maglia rapida) , abbigliamento con 2 ricambi sia per tempo caldo che per tempo freddo e poco altro. Il peso complessivo è scoraggiante, sono circa 12 kg e fare 1400 metri di dislivello con quel peso addosso, non essendo molto abituato, si rivelerà una faticaccia immane che non immaginavo così grande.

Comunque si parte. Primo step Baita Pineta dove per 100 metri proseguo diritto mancando clamorosamente il bivio, distratto dal cartello “Zona dell’Orso” con tanto di istruzioni comportamentali. Per fortuna me ne accorgo subito e perdo 5 minuti appena fra errore e rientro. Secondo step all’arrivo della funivia del Pradel con vista panoramica sul lago di Molveno. Terzo step il bellissimo sentiero panoramico che porta ai circa 1450 metri del rifugio “Croz dell’Altissimo” da cui si iniziano ad intravedere le guglie del Brenta e in particolare la montagna che da sempre più mi ha affascinato : il Campanil Basso. Anche da lontano è splendido e imponente, e il suo fascino mi ammalia inevitabilmente. Dopo circa 1h’30’ sono al “Croz dell’Altissimo”. Fa un caldo inaspettato, e nonostante l’abbigliamento tecnico sudo in modo copioso. Ho una sete bestiale, e mi rendo conto che se non mi limitassi farei fuori tutti e quattro i litri di sali già il primo giorno.
Il quarto step di giornata è il rifugio Selvata a circa 1650 metri. Si inizia a salire sul serio e le pendenze aumentano. Arrivo al rifugio e faccio la prima sosta di giornata, con panino che sbrano letteralmente. Le 17.00 sono ancora lontane ma nonostante un cielo non ancora molto coperto sento qualche goccia cadere. 

Mi prende un certo senso di ansia…. la strada per il Pedrotti è ancora molto lunga. Se i temporali arrivano in anticipo? Non è certo una bella cosa trovarsi in mezzo a uno degli attuali devastanti temporali estivi , magari a 2000 metri fra le montagne. Riparto “a bomba” per la mia salita verso il quinto step : il baito denominato “Massodi” a circa 1950 metri. Mente salgo ci sono momenti in cui la pioggia pare salire di intensità, come la mia preoccupazione, ma per fortuna va e viene e le nuvole si alternano a schiarite in cui compare pure il sole. Non si capisce bene “che tempo che fa”. Sta di fatto che dopo circa 2h30’ sono al baito Massodi, inizio ad essere stanco, ma in alto compaiono alla mia vista i rifugi Tosa e Pedrotti. E’ una notevole spinta motivazionale: riparto di slancio anche se occorrerà ancora parecchio per arrivare a destinazione.

Il paesaggio attorno a me nel frattempo diventa meraviglioso. Mi accorgo che la mente abbandona ogni pensiero negativo ed entra in simbiosi con quella natura così fantastica. E’ una sensazione bellissima, la magia della montagna fa in parte dimenticare la fatica che sia per la salita e specialmente per il peso dello zaino è tanta. Le gambe si fanno dure e anche superare qualche gradone di sassi a volte richiede un discreto sforzo, i bastoncini aiutano.

Sono passate poco meno di 4 ore e arrivo al rifugio Pedrotti. Sono stanco morto, ma sollevato per avere evitato il temporale che verso le 16.00 arriva puntuale (a dire il vero con un’ora di anticipo ma quelli di 3B Meteo sono davvero incredibili e azzeccano la previsione quasi alla perfezione). La precipitazione è violenta, con tuoni che in mezzo alle montagne rimbombano in modo impressionante e fulmini. Mi vengono un po’ i brividi a pensare di cosa sarebbe stato trovarsi lì in mezzo. Forse mi sono preso poco margine e fidato troppo delle previsioni orarie che non sono poi  sempre così precise: mi è andata bene, per fortuna. Riposo un po’ nella branda della stanza da 10 letti dove mi destinano (però ci sono solo altre 4 persone oltre a me). Verso le 17.45 torna il sole e ho il tempo di farmi come da
programma un pezzo delle bocchette centrali fino ad arrivare proprio sotto al campanile basso. Sono da solo, non c’è nessuno, sotto una delle montagne dei miei sogni. Sono molto emozionato e penso che si, un giorno forse riuscirò a salirlo questo campanile, certamente semmai guidato da un primo di cordata esperto. Vedere le soste delle doppie per la discesa sulla parete completamente verticale mi fa però un po’ di impressione. 

Rientro in rifugio per le 19.00 circa, giusto in tempo per la cena. Sono da solo su un tavolo, ma un gruppo di tre persone forse intuisce che mi farebbe piacere un po’ di compagnia e mi invita a stare con loro. Dopo poche chiacchiere sui nostri programmi pare già di essere amici da tempo. E’ lo spirito della montagna, che tende a unire le persone e farti sentire parte di un'unico grande gruppo.  Alle 21.00 è previsto lo spegnimento delle luci nelle camere, che avviene con precisione svizzera. Passeggio un po’ al buio fuori dal rifugio contemplando la suggestione dei rilievi in penombra, e poco dopo rientro in branda. Tappi da lavoro in spugnetta inseriti nelle orecchie, provvidenziali, data la potenza del russatore da competizione olimpica che c’è in stanza. Per fortuna è esattamente dall’altra parte della stanza, lui sotto e io unico in stanza nelle piazze alte dei letti a castello, e i tappi funzionano alla grande attenuando quasi del tutto quella terrificante macchina da disturbo del sonno.

La stanchezza fa il resto e gioca a favore: nonostante il materasso un po’ spartano e vincendo le mie preoccupazioni in merito alla difficoltà di dormire in rifugio crollo in un sonno inaspettatamente profondo e ininterrotto. Alle 6.00 tutti si alzano, e anch’io vinco la pigrizia in fretta per andare a fare colazione e partire per “l’attacco” alla cima.
Il tempo è splendido come da previsione 3B Meteo, e l’aria che si respira è di una freschezza e purezza idilliaca
Il giorno 2 sta per iniziare…..ma questo nella prossima puntata.

  

mercoledì 19 luglio 2017

O-Marathon 2017

La O-Marathon è davvero una gara diversa da tutte le altre, altrimenti non mi spiegherei come si possa provare addirittura soddisfazione nel cimentarsi in una competizione che già in partenza sai che può durare dalle 3 alle 4 ore. Lo scenario di quest'anno è quello di Forte Cherle, una allocation decisamente bella, con una carta in molte zone dall'elevato contenuto tecnico. Quindi alla partenza oltre alla difficoltà legata alla distanza, 17 km con 700 metri di dislivello circa, temo che le difficoltà tecniche possano ulteriormente allungare il tragitto oltre il già probabilmente massacrante .
L'atmosfera che si respira prima della partenza della O-Marathon è comunque particolare. Si respira un clima di quasi solidarietà generale, sapendo già la sofferenza che ti sta per aspettare, e quindi è più naturale che il clima competitivo lasci spazio alla goliardia e al reciproco incoraggiamento.
La giornata è di quelle che ti fanno innamorare dell'orienteering, nel cielo splende il sole, ma nonostante siamo a metà luglio le temperature ai circa 1400 metri di quota sono decisamente gradevoli e il caldo non dà fastidio. Dopo i soliti convenevoli e i riti preparatori della vestizione, alle ore 9:00 in punto è ora di partire.
Avendo già una certa esperienza di questa gara, so che è importante partire in modo molto cauto e guardingo. Infatti  al primo controllo transito nelle posizioni di coda, ma la cosa non mi preoccupa minimamente perché anche dopo aver percorso un chilometro so che me ne mancano almeno altri 20. Nei primi tre punti del primo giro sono preciso, e quando arriva la prima super tratta 3-4 scelgo di stare sotto la linea rossa il più possibile, accollandomi però una notevole dose di dislivello. Col senno di poi forse era meglio scendere ,allungare un po' il percorso, ma fare meno dislivello. In ogni caso arrivo al punto 4 con soddisfacente precisione, e inizio una serie di punti in compagnia con Dominic. I punti fino alla lanterna 11, della prima farfalla della giornata scorrono bene. Alla 12 commetto il primo errore significativo della giornata.  Punto la bussola,  una delle cose che solitamente mi riesce meglio,  ma passo veramente vicino alla lanterna senza vederla. Riguardando la traccia del GPS credo di non essere passato a più di 10 metri, ma non sono riuscito a vedere il prisma. Quella è una delle zone in cui se sbagli, non c'è niente da fare. Rilocalizzarsi è problematico quindi dopo un paio di minuti di girovagare decido di puntare la strada, prendere un nuovo punto di riferimento e rientrare. Fortunatamente trovo la lanterna immediatamente e riesco a concludere agevolmente tutto il resto della farfalla. Due punti in scioltezza nei prati e arriva il momento clou della giornata: entrare in quella zona infernale che sta nei pressi del ritrovo. Azzecco con una precisione che mi sorprende i punti 18 e 19, andando al 20 mi aiuta la presenza di Heike che nel frattempo mi ha raggiunto.  Solo a guardare la lanterna 21 mi viene male, perché non riesco nemmeno a leggere tutti i dettagli di quella giungla di avvallamenti, rocce, microforme e sassi dentro un cerchietto di pochi mm.  Con Heike  arriviamo a un punto in cui siamo indecisi dove andare e purtroppo decidiamo di scendere a sinistra di quello che poi si rivelerà la zona della lanterna.  Finiamo in un posto veramente infame, con erbacee e ortiche che arrivano fino all'altezza della testa, sassi di ogni dimensione per terra che ti costringono a camminare senza sapere cosa ti aspetta in quanto non vedi nulla. Uscire di lì è un vero supplizio, ma per fortuna capiamo di essere dalla parte sbagliata della roccia dove è posizionata la lanterna. Con uno sforzo bestiale, e impiegando una vita, riusciamo ad arrivare al punto 21. Fortunatamente il controllo successivo non è così infernale come i precedenti, e finalmente riesco a concludere il primo giro della O-Marathon con un tempo attorno alle 2h 15’, tutto sommato proprio quello che mi aspettavo.
Noto con piacere che non sono particolarmente stanco, perché mi sono imposto categoricamente di non forzare il ritmo nella corsa e inoltre in tutte le salite con una certa pendenza cammino. Appena il tempo di bere un integratore ed un bicchiere di acqua che è ora di partire per il secondo “tour”. Oltre ad essere più corto a prima vista sembra essere anche meno complicato, ma soprattutto ed è la prima cosa che osservo, non devo tornare in quel postaccio dove pochi minuti prima penso di essere stato fortunato ad uscire tutto intero. Forse proprio perché penso  che questa seconda tornata sia più semplice già al punto 1 commento il primo errore veramente ingenuo della giornata arrivando in cima al colle, e invece di proseguire diritto scendo inspiegabilmente verso destra. Fortunatamente quest'anno uno degli aspetti in cui sono più migliorato è quello della rilocalizzazione dopo un errore. Capisco la fesseria che ho fatto e riesco a rimediare in poco tempo. Il punto 2 e il punto 3 li raggiungo con una piacevole precisione, ed è già di nuovo il momento della super tratta della secondo giro di giostra. Questa volta, forse anche complice una maggiore percezione della fatica, non penso nemmeno lontanamente di provare a stare sotto la linea rossa. Scendo astutamente verso il recinto e faccio tutto il tratto in una  comodissima percorrenza su sentiero, assieme a Fabietto con il quale abbiamo anche tempo di disquisire sul nostro stato di tenuta fisica. La farfalla dal punto 4 al punto 9 non è di quelle da leggenda nel senso di una scarsa precisione nei pressi del punto, e anche nel tornare la seconda volta dove sono già transitato, commetto delle imprecisioni. Errori non particolari, ma sbavature che mi fanno capire che la stanchezza sta facendo calare il livello dell'attenzione. A parziale giustificazione posso però dire che il terreno in quella zona è difficile e la presenza di molti sassi e micro forme rende la vita difficile anche in tratte brevi che apparentemente sembrano non nascondere grandi difficoltà. Da lì in poi però prendo un bel ritmo, non molto veloce, ma mantenendo una notevole precisione nel raggiungere i punti, con l'eccezione della lanterna 15 in cui transito a non più di 10 metri dalla buca senza vederla. Ormai è fatta, il GPS segna più di 20 km e il cronometro si avvicina alle 3h30’di gara. Fare gli ultimi tre punti da quel sottile piacere della percezione che la tua avventura sta per concludersi e che tutto sommato è andata bene. Termino in quarta posizione (un mio super classico quando c’è un podio premiato)  dietro a Dario, Andrea Cip, e Fabio. Onestamente era difficile pensare di poter fare meglio di loro, quindi posso ritenermi abbondantemente soddisfatto.
Che dire di questa O-Marathon 2017? È stata un'edizione che mi è piaciuta molto, la giornata è stata splendida e anche i percorsi disegnati da Carlo sono stati estremamente piacevoli per l’alternanza di treatte brevi, medie e lunghe. Eccezion fatta per le tre lanterne in quel’ autentico inferno prima del cambio carta, di cui onestamente avrei fatto volentieri a meno in una gara di questa lunghezza. Ma per tutto il resto una bellissima giornata di orienteering. Spero di avere anche l'anno prossimo la voglia di buttarmi in questa che è davvero una gara molto particolare, più simile ad un avventura che ad una competizione. Ma che proprio per questo, quando la finisci pur con le gambe e la schiena rotte, ti da quella soddisfazione inconfondibile, che una cosa che ottieni sudando le proverbiali sette camice, ti sa regalare.

mercoledì 26 ottobre 2016

Trofeo Oltrefersina Orienteering 2016

Salve a tutti.
In questo ultimo mese ho lavorato abbastanza duro per organizzare una gara , il più possibile piacevole , che si svolgerà Sabato 29 a Pergine, con ritrovo al bellissimo parco Tre Castagni. Un posto che definire incatevole è poco.
Qui sotto vi lascio il link del sito che ho realizzato per inserire tutte le informazioni : http://www.seriva.it/oltrefersina/trofeo2016.htm
Per organizzare la gara, con la conncessione dell'Orienteering Pergine mi sono fatto carico del lavoro di unire due carte esistenti : quella di Pergine Centro con il Parco Tre Castagli di recente realizzazione (top map di Augusto Cavazzani) e quella di Zivignago-Valar-Ciomba, risalente a parecchi anni fa, in modo da avere una carta non dico nuova ma almeno nel suo insieme mai sfruttata.
Il tutto è stata condito dalla difficoltà che una carta era in simbologia ISOM e l'altra ISSOM.
La scelta è ricaduta sul portare tutto in ISOM, in quanto nelle parti non cittadine la ISSOM è quasi illeggibile, specie i sentieri.
Fare questo lavoro di cartografia è stato molto interessante perchè è stata l'occasione per ripassare regole, simboli, usare OCAD e capire diverse cose sulle mappe. Sistema Lirdar compreso.
La parte più complicata è stata aggiornale i colori : coltivazioni e verdi erano davvero molto diversi rispetto a tanti anni fa. E rappresentare spazi di vegetazione disomogenea non è semplice. E' stato divertente chiedere ai gestori del Castello se mi lasciavano fare una foto dalla torre....che vista fantastica!! e le foto sono state utilissime! In quella zona anche un bel Drone avrebbe fatto davvero comodo :), ma mi sono arrangiato anche con i metodi tradizionali.
Ho messo molto impegno in questa attività e spero di avere fatto un buon lavoro anche se sono ben conscio di non avere una grandissima esperienza. Anche se in futuro, a livello amatoriale, non mi dispiacerebbe dedicarmici maggiormente.
La gara è stata pensata per dei tempi da "Middle", in certe categorie forse salterà fuori qualcosa in più, quindi può essere l'occasione per un buon allenamento pre invernale.
Anche nel preparare i tracciati, ho sempre cercato di far si che ci fossero più scelte possibili, anche se in certe parti, non è che la cartina offra moltissime possibilità.
Vi posso assicurare che ho testato ognuno degli 8 tracciati previsti, modificandoli se mi rendevo conto che c'era qualcosa di non chiaro (ridisegnando quindi la carta) o che non mi piaceva.
Spero che tanto lavoro e impegno, sia gratificato da una buona presenza.. quindi, dato che pare ci sarà pure un bel meteo, vi aspetto tutti!!

sabato 19 settembre 2015

Premiazioni gare MASTER. Il gioco al ribasso

Organizzare delle gare di Orienteering è una discreta faticaccia, chiunque lo ha provato ne è ben conscio. Se poi il numero di persone a disposizione del team è ridotto, allora lo sforzo può anche essere immane. Personalmente ho provato la differenza nell'organizzare con il Trent-O dove disponiamo di un team che oserei definire fenomenale e super efficiente, e con la Polisportiva Oltrefersina per le gare CSI dove i numeri dello staff sono notevolmente inferiori.
La premessa è per sottolineare che conosco bene gli sforzi che si fanno per fornire un buon servizio ai concorrenti e pertanto non posso certamente avere un approccio del tipo schizzinoso o massimalista.
Tuttavia non posso fare a meno di sottoporre all'attenzione dei lettori il gioco al ribasso che sta avvenendo in diverse organizzazioni specialmente per quanto riguarda le premiazioni delle categorie Master (e ricordo che questo sito si chiama Orienteering Master...), per le quali la moda, oserei dire quasi dilagante, è quella di fare premiazioni solo al primo classificato e non ai primi tre come da prassi.
Trovo questo approccio veramente povero sia nei contenuti motivazionali che nella sostanza, e cerco di motivare questa affermazione. Il cosiddetto "podio" è solo un momento di piccola soddisfazione per avere ottenuto un buon risultato, ma che l'evidenza dei fatti in termini di prestazioni non può che evidenziare che ha a monte una costruzione fatta di molto, ma molto allenamento. Guardate le classifiche e i tempi di percorrenza al km-sforzo di molte gare 35 e 45 sia maschili che femminili e capirete che per arrivare nei primi tre occorre "pedalare" non poco. E di fare errori nemmeno se ne parla.
Per un 35-65 enne poi, non è certamente importante portare a casa un "bene materiale"; immagino che questo sia chiaro a chiunque abbia un minimo sindacale di neuroni in attività nel cervello. Ma essere chiamati dallo speaker e fare una foto da tenere come ricordo ha un valore innegabile in termini di gratificazione sportiva alla preparazione svolta e al risultato raggiunto .
Sistemato l'aspetto filosofico passiamo a quello materiale.
Consideriamo quattro categorie Master 35-45-55-65 sia maschili che femminili. Il gioco al ribasso-risparmio comporta la "esorbitante" abolizione di 2 (secondo + terzo) * 2 (maschile + femminile) * 4 (categorie) = 16  premiazioni.
Consiglio listino LIDL o altro discount, e per una soddisfacentissima provvista di generi alimentari credo che 3 € possano essere più che sufficienti. Spesa complessiva 16 * 3 = 48 €. Vi invito a fare due calcoli sul valore assoluto delle quote iscrizione in tutte le gare, raccolte nelle categorie master 35-45-55-65, ma anche sulla loro % del totale assoluto per capire come la scelta di premiare solo il primo Master abbia anche il carattere di cosa indiscutibilmente ingiusta.
Qualcuno obietta che si allunghino i tempi delle premiazioni. Bene: una chiamata di un atleta credo possa richiedere, se fatta ad esempio accomunando categoria maschile con femminile un tempo massimo di 5 secondi. 16 (chiamate-premiazioni) x 5 (secondi per chiamata) = 80 secondi. Un minuto e 20 secondi complessivo. Non mi esprimo sulla razionalità delle affermazioni di qualcuno che nell'arco di una intera giornata di organizzazione, sostiene che allungare di tempi così "biblici" una premiazione sia una perdita di tempo inaccettabile.
E infine la madre di tutte le motivazioni : non si fanno le premiazioni Master perché un Master dovrebbe andare alle gare solo per divertirsi. Per questa affermazione rimando al concetto del neurone nel cervello. Se così fosse allora ELIMINIAMO del tutto le gare Master così gli atleti dai 35 anni in su, invece che partecipare alle gare, si potranno andare a divertire da soli, andando a correre nei boschi da soli, facendosi dei percorsi di allenamento da soli. Invito il lettore a osservare quanti partecipanti ci sarebbero alla maggior parte delle gare senza le categorie Master.
Spero che questa tendenza al ribasso, senza motivazioni, cessi prima possibile perché è davvero spiacevole per contenuti morali e materiali.
Mi permetto anche di scrivere che anche alcune altre piccole cosette, che costano davvero poca fatica, come la preparazione della descrizione punti, anche da ritirare "self service" in partenza, appartiene a quel tipo di servizio che costa praticamente zero fatica, ma conferisce qualità ad una organizzazione.
Il Trent-O , fino a quando sarò presidente, non si presterà a questi immotivati giochi al ribasso.

lunedì 20 aprile 2015

La lezione di Belluno

Coppa Italia Sprint a Belluno. Tutti dicono gara veloce, molto veloce, di quelle "per chi ha gamba".
In quest'ultimo mese dopo un po' di allenamenti seri, la gamba ce l'avevo per davvero. E quella giornata mi sentivo pure benissimo. Nel riscaldamento sentivo quelle che un più illustre scrittore blogger definisce "le gambe magiche".  Carico ero molto carico, convinto al massimo che avrei fatto una gara di quelle "come si deve".  Eh si, perchè quest'inverno nelle sprint dell'Oricup Inverno, avevo corso bene come non mai specie dal punto di vista degli errori, quasi completamente rimossi o quantomeno ridotti a livelli fisiologici, e che negli anni precedenti non avevo mai eliminato nemmeno nelle sprint.
Insomma c'erano davvero tutti gli ingredienti per "la grande giornata" , per battezzare al meglio l'ingresso ufficiale nella categoria M45.
Ma l'orienteering è l'orienteering, e tutto quello che hai costruito in anni di lenti miglioramenti, può vacillare in un attimo se non hai quella grande qualità di saper gestire emozionalmente una gara. E la grande lezione di Belluno è stata che questa capacità non l'ho ancora consolidata.
Al punto 1, dopo essere entrato sfortunatamente  in un porticato non segnato in carta, a 10 metri da quello giusto (magari è l'unica volta in tutto l'anno che era aperto.... ma le sprint sono anche questo)  perdo 30 secondi, e sarebbero ancora rimediabili per un buon piazzamento, ma purtroppo è l'inizio dello scricchiolare di tante certezze costruite in allenamento e anche nell'approccio mentale , che quest'anno ho cercato di curare. Via di botto, molto bene fino alla 7, dove in un vicoletto stretto non leggo sulla carta una piccola (fetente!!!)  linea spessa di circa 2 mm di lunghezza che significa "amico.... di qui non passi". E qui crolla tutto: tutta la carica, la concentrazione, i buoni propositi. Invece che ragionare con lucidità e "fare il giro" dall'altra parte la testa va per conto suo in un corto circuito cerebrale che è davvero difficile spiegare.
Sta di fatto che per 2 punti (a posteriori purtroppo) mi accorgo di vagare completamente a vuoto senza un minimo di logica. Quando ritorno nel mondo reale riparto a tutta e gli split dicono che realizzo degli ottimi parziali, anche diversi migliori tempi. Poi al punto 15 transito alla lanterna, ma evidentemente non posiziono bene lo sport ident nella stazione e non faccio caso che questa non suona (credo di più all'elettronica che a me stesso.... se non ha registrato la punzonatura è certamente perché non ho eseguito bene l'operazione, non perché alla stazione sto particolarmente antipatico.... il misfatto è di certo opera mia). Risultato una scoraggiante PM.....
Nell'orientamento, quando ti presenti al via, l'essere allenato fisicamente, l'essersi preparato mentalmente, l'essere concentrato, l'essere carico.... sono solo condizione necessaria, non di certo sufficiente. Un bravo orientista ha fra le sue doti principali quella di sapersi gestire emozionalmente, caratterialmente, emotivamente, saper gestire con fredda lucidità ogni imprevisto.  A mio avviso nelle sprint in modo particolare , dove i ritmi elevati e la frenesia del susseguirsi veloce dei punti non danno tregua al cervello, annebbiato inoltre dalla fatica per lo sforzo breve ma intenso.
Terrò davvero memoria di questa esperienza. Presentarsi al via preparati e motivati, non deve andare in contrapposizione ad una efficace gestione emotiva della voglia di fare bene.
Belluno, Belluno, che dura lezione!!! Da ricordare per farne tesoro.

mercoledì 7 gennaio 2015

Premio Ori-Pulitzer

Ieri per gli strani meccanismi della rete sono finito sul sito di Larrycette, e mi sono letto tutto di un fiato la saga "La verità sui WOC 2014".
http://www.larrycette.com/la-verita-sul-woc-2014-prefazioni/
http://www.larrycette.com/la-verita-sul-woc-2014-1/
http://www.larrycette.com/la-verita-sul-woc-2014-2/
http://www.larrycette.com/la-verita-sul-woc-2014-3/
http://www.larrycette.com/la-verita-sul-woc-2014-4/
http://www.larrycette.com/la-verita-sul-woc-2014-5/
http://www.larrycette.com/la-verita-sul-woc-2014-6/
http://www.larrycette.com/la-verita-sul-woc-2014-7/

Raramente ho letto un qualcosa di così divertente, e ne consiglio la lettura a tutti. Anche se è una critica verso alcuni aspetti dell'organizzazione dei mondiali, è scritto con una tale leggerezza, intelligenza, ironia (e autoironia), che a mio modo di vedere è la più bella pagina di oriblog che abbia mai letto.
L'autore è davvero un artista della ori-narrazione e lo ringrazio per avermi fatto ridere fino quasi al mal di pancia. 
Il Per Forsberg "Schettino",  l'apparizione di Sartori alle premiazioni della Long, la sequenza punteggio della sfida "Cerimoniale Vs IOF", la telefonata durante il solenne inno Russo, valgono il mio personalissimo premio ori-Pulitzer
N.d.r. : specifico che io ai WOC non ci sono stato, non mi sono informato e quindi non so come sono andate le cose. Il mio giudizio riguarda solo il magnifico stile di scrittura e di narrazione degli eventi riportato nei link di cui sopra.