lunedì 22 ottobre 2007

Un 3000 di mezza estate

Ci sono gare dalla quali non ti aspetti proprio nulla, ma poi ti riservano delle emozioni particolari, che non ti saresti mai immaginato.
E' il caso del 3000 m che ho corso in pista il 2 Agosto di quest'anno. Credo di aver deciso di partecipare alla gara il giorno prima, senza nemmeno sapere il perchè. Non correvo in pista dal lontano 2004, quando scaldavo i motori per NY, e forse tre anni di assenza mi sembravano troppi ed era quindi ora di interrompere il digiuno. Poi al gran premio del mezzofondo ci sono molte serie e quindi c'è la possibilità di correre con atleti del tuo livello, senza sfigurare troppo. E allora vai!!! buttiamoci, mi son detto.

La preparazione alla gara è stata veramente disastrosa: per fortuna mi sono messo per tempo a preparare la borsa.... ma al momento di prendere le scarpe chiodate PANICO. Non si trovavano... avevo guardato davvero dappertutto ma niente!!! Ricordavo di averle usate l'ultima volta in una campestre invernale ma poi.... Preso dallo sconforto mi gioco il classico Jolly ovvero vado in Camper (quando non trovo qualcosa e sono all'ultima spiaggia cerco sempre lì). Davvero non so come ci siano finite, ma erano lì. Evviva, habemus chiodatem... ma la tragicommedia non era finita. Al momento di metterle in borsa mi accorgo che c'erano montati i chiodi da 12 mm da campestre super-paccioccone. Roba da codice penale in pista! Ricomincia lo strazio della ricerca dei chiodi da 6 mm da pista ma niente! Ora il tempo inizia ad essere poco e questa volta la ricerca non da buoni frutti. Parto per il campo togliendo i chiodi da campestre e sperando di trovare un anima buona che abbia un set di riserva da prestarmi. L'idea di correre con le scarpe normali in pista davvero non mi piace per nulla : sono un corridore che usa molto il piede e quindi i chiodi in pista mi danno un gran vantaggio. Purtroppo nessun amico interpellato al campo ha i chiodi da prestarmi... inizio a rassegnarmi quando ... mi accorgo che miracolosamente c'è uno stand di vendita scarpe dentro al campo CONI. Vuoi vedere che?!?!? Chiedo se hanno un set di chiodi e la risposta è SI!! Incredibile...a 50 minuti dalla partenza riesco a mettere i chiodi da 6 mm sulle mie scarpe. La cosa mi da molto morale. Purtroppo non sono allenatissimo e in particoalre non ho prove veloci nelle gambe. Ma chissenefrega!!! Penso all'amico Michele che dice sempre "i muscoli hanno la memoria!!!" e con più di 10 anni di gare in pista qualcosa dovrà essere rimasto. Correrò nell'ultima serie, la più lenta e amche questo mi conforta, in mezzo al gruppone riuscirò a correre senza che nessuno si accorga di me! Siamo oltre 30... un bel gruppone.
Negli allunghi pre gara sento che il piede spinge che è un piacere... bene, spero di divertirmi.
A 36 anni suonati e con centinaia fra partite e gare alle spalle sento ancora quel misto di emozione-eccitazione-tensione quando lo starter ci chiama alla linea del via: allora capisco che ho fatto davvero bene a venire, comunque vada.
Ai vostri posti, pronti PUMMMMM pistola e via. Da subito 3 atleti scappano via velocissimi, ad un ritmo che mi pare insostenibile. Come da abitudine me ne sto bravo bravo nel gruppone che tutto trascina. Basta stare li in mezzo che non ti accorgi nemmeno di correre. Il passaggio ai 1000 dice 3'26'', sono ancora in mezzo al gruppo che credo conti 12-15 untità ma in quel momento scocca una delle cose più belle che esistano per un corridore. Capisco che la gamba c'è ed è arrivato il momento di osare e sfruttare questa sensazione positiva. Dei tre partiti a razzo uno ha un po' ceduto ma gli altri due hanno quasi una curva di vantaggio. Comincio ad aumentare gradualmente il ritmo e sotto la mia azione il gruppo si sgretola. Incredulo arrivo ai 2000 metri da solo, parziale 3'20'', e raggiungo il runner al terzo posto in chiara crisi. Gli altri due sono ancora un bel po' avanti ma capisco che uno è in difficoltà. Sono sensazioni di esperienza... quando vedi uno correre bene e in spinta all'inizio e poi lo noti un po' piegato , un po' ciondolante capisci che ha dei problemi. In quel momento poi mi torna quella cattiveria agonistica che non sentivo da anni. Nonostante inizio ad essere affaticato il cervello mi urla "vai a prenderli!! non avrai mica paura razza di coniglio che non sei altro!!" Inizio una progressione sorprendente: ai 600 finali prendo il secondo. Arrivo ai 400, suona la campana (eh..Stegal come mi capisci!!), ormai in pieno delirio agonistico piazzo uno strappo degno dei tempi migliori, passo in tronco il leader e vado a vincere per distacco la serie. 3'08'' l'ultimo 1000. Un amico mi cronometra 1'12'' (rimo da 3'00''/Km) l'ultimo 400 metri. 9'55'' il tempo finale....sotto i 10'00''. Non ci avrei scommesso un centesimo. Davvero non riesco a capacitami della prestazione dato che la settimana prima avevo provato a fare un po' di 1000 non riuscendo a scendere sotto i 3'20'' nemmeno una volta. Forse l'adrenalina della gara, forse la voglia di correre in pista dopo tanto tempo, forse correre con le chiodate .... sta di fatto che però è proprio vero che tante volte i nostri limiti sono determinati dalla testa. Quando sei carico "a molla", puoi sopperire a qualche carenza di altro tipo.
Dopo la gara sono benissimo conscio di non aver fatto nulla di eccezionale : ho corso la batteria più lenta delle 4 in programma, in 9'55'' quando il mio personale è 9'20''.
Però sono contento, felice come un bambino piccolo a cui hanno dato la caramellina o il giocattolino. Per una sera ho ritrovato quelle sensazioni che da tanti anni mi spingono a correre e fare dei sacrifici per allenarmi (correre mi piace da matti, ma la fatica è sempre la fatica, a volte bestiale e difficile da domare).
Da una gara apparentemente insignificante è arrivata una piccola gioia.
Spero che qualche volta mi succeda ancora.

lunedì 15 ottobre 2007

Correre in direzione

Che sia uno dei fondamentali della tecnica orientistica non c'è dubbio. Però nelle abitudini degli atleti viene usata in modi e quantità molto diverse.
Leggendo in rete mi pare di capire che i maggiori seguaci della corsa in direzione siano i Nordici che forse derivano questa abitudine dai loro terreni abbastanza piatti e uguali, anche se poi lego di Pasi Ikonen che vince un mondiale senza usare la bussola in gara. C'è chi pur di correre "sotto la linea"(termine per indicare la traiettoria congiungente il punto di partenza e quello di arrivo, uniti graficamente sulla mappa proprio da una linea color magenta) è disposto a sobbarcarsi dislivello aggiuntivo o transitare in terreni infami, con il supremo scopo di percorrere meno strada possibile.
Credo ci siano fondamentalmente due situazioni di corsa in direzione, quantomeno son quelli che io uso in gara.


1) Direzione grossolana.
Per correre velocemente tratte lunghe, con l'obettivo di centrare un riferimento particolarmente grande ed evidente e pertanto senza aver la necessità di prendere un angolo di direzione necessarimente preciso.
Centrato il riferimento ci si può correggere velocemente. L'importante è il ritmo di corsa elevato








2) Direzione fine. Tipicamente dal punto di attacco alla lanterna. Se la lanterna di partenza e quella di arrivo sono particolarmente vicine costituisce la tecnica per tutta la tratta.
La mia esperienza sul campo mi dice che fino a 150-200 metri di distanza riesco ad ottenere una precisione davvero soddisfacente, a volte anche sorprendente. Su tratti più lunghi anche un piccolo errore di angolo si ripercuote in un errore di distanza, che se la laterna è poco visibile, può far si che si abbia difficoltà ad individuarla. Essendo in orientamento fine è ovviamente necessario ricordarsi di calare il ritmo di corsa e osservare tutto quanto utile in zona punto (al fine di correggere eventuali errori)

A mio modo di vedere è importantissimo essere dotati di un gran senso di percezione della distanza percorsa, quando si corre in direzione. Ma di questo abbiamo già dibattuto.

La presenza di grandi dislivelli aggiuntivi da affrontare spesso scoraggia la scelta di "tirare una riga" da un punto all'altro. Non credo esista una regola precisa in merito: occorre valutare volta per volta la situazione e anche le proprie capacità atletiche e lo stato di affaticamento in quel momento della gara. Ovviamente un gran corridore può pensare di tirare diritto non preoccupandosi del dislivello. Un atleta meno performante sceglierà di limare il dislivello anche a costo di allungare la distanza percorsa.

Spesso in tratte lunghe corse in direzione mi capita di devire leggermente la traiettoria dalla linea per puntare ad un riferimento intermedio, che una volta raggiunto permette di azzerare l'eventuale errore commesso. Ammetto che correre in direzione sia la mia tecnica preferita e quella che mi riesce meglio. Le volte che sono riuscito ad usarla di frequente o avuto grandi soddisfazioni. Purtroppo nei nostri terreni, ove si presentano spesso dislivelli notevoli, è difficile riuscire ad usarla come tecnica preponderante.

Occore attenzione porre molta attenzione a:
1) Presenza di ostacoli intermedi sulla traiettoria che costringono a deviare dalla linea ideale. La cosa migiore da fare in questi casi è guardare lontano oltre all'ostacolo fissando un particolare molto riconoscibile. Si oltrepassa l'ostacolo raggiungendo il riferimento. Dopodichè si ripete l'operazione di allineamento alla direzione corretta.









2) Attraversamento di grandi forme del terreno : è molto facile deviare la direzione.

3) Attraversamento di zone verdi. Anche qui è molto facile deviare. In generale però fare direzione nel fitto è particolarmente complicato in quanto le difficoltà di attraversamento della vegetazione costringono ad un avanzamento a zig-zag che rende problematico il mantenimento di una traiettoria ben definita.
Alla recente 5 giorni dei forti, ho fatto 3 volte un tratto in direzione, fra due lanterne a poco più di 100 metri di distanza in pieno verde 2., sbagliando tutte e tre le volte!!! Quell'esperienza mi ha fatto riflettere sull'opportunità di usare la tecnica nei verdi "brutti" o se proprio non c'è alternativa di andare veramente piano.

Tecnicamente trovo eccezionale l'uso della bussola SPECTRA, con i quadranti colorati. Fissata la direzione corretta e vedendo dove punta l'ago del Nord è molto facile correggersi se si effettua una deviazione.

sabato 6 ottobre 2007

FINALE COPPA ITALIA 2007

Organizzare una grande manifestazione di Orientamento, è qualcosa di più di un normale impegno. Partecipare all’evento significa essere inseriti in modo quasi inesorabile in un meccanismo che ti coinvolge e ti trascina, a volte in maniera sorprendente, e che ti consente di affrontare gli impegni anche faticando molto, ma con bene addosso la percezione di stare facendo un qualcosa per cui valga la pena di sgobbare duro. Un qualcosa che una volta terminato ti darà la gioia di poter dire o pensare: in quei giorni IO C’ERO!
Pensare all’intreccio di lavoro, passione, anche professionalità operativa che si sono visti nel Trent-O, nei 2 giorni prima della finale di Coppa Italia 2007 è un qualcosa che deve emozionare e far riflettere. L’emblema di tutto questo è stata la serata di Sabato nella colonia di San Giovanni. Un tranquillo edificio, immerso nella natura e nel silenzio, che all’apparenza sembrava l’emblema della quiete. Ma appena varcata la porta di ingresso, si presentava una scena metaforicamente quasi dantesca. Un incessante moto di persone assorte nei loro compiti, anche i più vari : una catena di montaggio quasi industriale che impacchettava cartine, un gruppo di lavoro che sfornava cesti premio, un team di informatici che preparava gli elaboratori, un gruppo posatori che con ordine certosino preparava il lavoro di posizionamento lanterne, una cucina super efficiente che si accingeva a sfornare cibo per centinaia di persone in un posto dove solitamente transita forse solo qualche capriolo. Il tutto senza una connessione a prima vista individuabile, ma espressione di uno sforzo comune rivolto ad un risultato che ognuno dei partecipanti voleva fortemente. Più di ogni tentazione di cedimento alla fatica.
E’ noto: affrontare delle difficoltà in gruppo rafforza i rapporti personali. E’ da queste esperienze che si decidono a volte le sorti delle associazioni. O si scoppia, o ci si unisce ancora più saldamente.
Noi del Trent-O, al di la dei commenti veramente lusinghieri dei nostri “clienti” ovvero i partecipanti alla gara, possiamo certo dire di esser stati capaci di lavorare come squadra, dove ognuno era indispensabile allo stesso modo. Si dice che uno dei mali dei nostri tempi sia l’incomunicabilità fra le persone, l’incapacità di guardarsi negli occhi parlandosi, capendosi, aiutandosi, stando insieme. Ecco perché dopo esperienze così, ci si può sentire un po’ più ricchi dentro.