domenica 10 settembre 2017

Cima Tosa , giorno 2

Dopo una notte di un riposo sorprendentemente buono, è arrivata finalmente la giornata della salita alla Cima Tosa. La sveglia non è nemmeno selvaggia, sono infatti le 6:30 quando ultimo fra i presenti in camera decido di scendere a fare colazione. Il caffè servito è di quello tipo all’americana: tazza gigante di almeno un quarto di litro. Sapendo la faticaccia che mi aspetta, mi ingozzo di pane burro e marmellata fino a scoppiare per mettere “benzina nel motore” e una volta terminato esco nella spianata che ospita il rifugio. La luce del sole mattutino che illumina il Brenta e l’aria di una freschezza impareggiabile, inevitabilmente danno la carica per completare i preparativi per la partenza. La cosa a cui presto più attenzione è di lasciare al rifugio tutto, ma proprio tutto quello che non serve, per cercare di alleggerire al massimo il peso da portare appresso.
Sono circa le 7:20 quando parto attaccando il sentiero Brentari, per recarmi alla base della via normale della salita alla cima. Porto  ancora con me le incertezze legate al fatto di salire da solo quei 30 metri di arrampicata di cui tante volte ho letto sulle varie relazioni. In cuor mio spero che una volta arrivati alla base della parete incontrerò qualcuno in modo da potere farmi assicurare e salire con meno patemi d'animo. Il sentiero per arrivare ai circa 2850 metri dell’attacco è tutto sommato breve e in neanche un'ora compare davanti ai miei occhi un asterisco rosso, pitturato su di un grande sasso che indica la via per la cima. Durante il tratto di avvicinamento sul sentiero vedo transitare dietro a me diverse persone e quindi spero vivamente di trovare qualcuno che possa fare una cordata classica con me. Ma le persone che transitano, al bivio per “la normale” tirano tutte diritto sul sentiero, probabilmente con obiettivo il rifugio Dodici Apostoli.

Dopo 20-25 minuti di attesa invano, mi rassegno:  devo iniziare a pensare alla manovra di autoassicurazione se voglio davvero arrivare in cima, in libera pura non me la sento. In mattinata il gestore del rifugio  Pedrotti mi ha consigliato di salire su una nuova linea chiodata da lui proprio quest'anno, che dal punto vista di tecnico  mi viene definita di grado III, a differenza del grado II+ di quella vicina sul camino che si vede a sinistra. Tuttavia la via consigliata dal gestore, sebbene di grado superiore, presenta tre chiodi in successione abbastanza vicini fra di loro, direi  a circa 4 metri uno dall’altro, ma sopratutto bene in vista e questo mi pare un elemento importante. Tiro fuori la corda dallo zaino e la aggancio al fittone alla base della parete, e decidendo di procedere per la via consigliata per gradi, tenendo a portata una maglia rapida in modo che se arrivato ad un chiodo, decidessi di tornare indietro in corda doppia potrei farlo senza alcun problema. 

Arrivare al primo chiodo è realmente semplice, aggancio il rinvio al chiodo e sul capo libero della corda rinviata applico il nodo autobloccante prusik. Il primo passo è fatto! Il secondo chiodo è bene in vista e anche l'arrampicata per arrivarci non sembra particolarmente difficile. Con molta attenzione proseguo e ci arrivo rilassato. Rinvio anche su questo la corda e sono quasi a metà del primo tiro. I passaggi per il terzo chiodo sembrano i più difficoltosi, ma in realtà è la percezione data dal pensiero di essere solo e in auto sicura che mette un po' di soggezione. Dopo un attimo di scrupolosa osservazione mi pare di cogliere una serie di appoggi che dovrebbero garantire una salita  in  sicurezza. Non essendo come ho già scritto un grande coraggioso, raccolgo le forze e con grande soddisfazione arrivo al terzo chiodo dove posso nuovamente rinviare. Da lì  vedo la sosta intermedia della via e arrivarci è quasi un gioco da ragazzi. Mi assicuro alla sosta e con grande piacere ho in vista diretta anche la sosta successiva che è anche la fine della via. I passaggi sembrano davvero semplici, e decido quindi di puntare direttamente al fittone, dove arrivo facile. E’ fatta! Predispongo la piastrina per la discesa in doppia durante la quale recupero i rinvii. Arrivato al punto base di partenza sgancio la corda e con la sicura del nodo autobloccante sui due rami di corda che ora scendono dall’alto salgo in un attimo nuovamente in cima ripetendo la via, ma questa volta con la scioltezza regalata dalla tranquillità di una sicura dall’alto. In sommità recupero tutta la corda, la ripongo ordinatamente nello zaino e sono pronto per affrontare i restanti circa 300 metri di dislivello che separano dalla cima.

Se si pensa di essere arrivati finito il tratto di arrampicata, ci si sbaglia di grosso, c’è da faticare ancora parecchio. La salita richiede la costante ricerca visiva dei cosiddetti “ometti” di roccia: dei mucchietti di sassi a vista posati con lo scopo di indicare la giusta via. Non si presentano difficoltà particolari, ma guardando verso il basso, ho la sensazione che se si dovesse scivolare, specie in certi punti, non ci si fermerebbe tanto velocemente. Quindi sempre massima concentrazione, credo che molti incidenti in montagna avvengano per distrazioni, ma su questo aspetto sono tranquillo perché quando salgo non faccio mai calare il livello dell’attenzione. Dopo una mezz’ora la pendenza inizia a diminuire, fino praticamente a spianare su un grande terrazzo sassoso, dove non vi è la quasi minima presenza di neve e ghiaccio, se non in qualche fenditura più protetta dai raggi solari. Quest’estate torrida ha lasciato il segno.
In lontananza scorgo due ragazze su un piccolo rilievo rispetto al pianoro, che capisco essere la cima. 
Non mi vergogno per nulla nello scrivere che l’emozione è forte. Tipica di quando porti a compimento un progetto a cui pensi da anni e che ti era sempre sfuggito di mano. 
Sono circa le 10.45 e arrivo in vetta alla Cima Tosa. Il panorama per tutti i 360 gradi è strepitoso, impareggiabile. Di foto ne avevo viste tante, ma essere lì di persona è davvero tutta un’altra cosa. Dopo pochi minuti le due ragazze partono per la discesa e ho quindi il privilegio di stare da solo in cima alla regina del Brenta in un silenzio che quasi smarrisce, anche commuove.

Ci passo circa un’ora e mezza, ma non mi stufo per nulla, continuando a guardarmi attorno, incantato da tanta incontaminata bellezza. Alle 12.30 circa, dopo essermi rifocillato, mi incammino per il ritorno al rifugio. 

Mi viene da salutare la montagna, rispettosamente, quasi a farmi promettere da Lei che almeno un’altra volta mi accoglierà di nuovo e che un giorno tornerò lassù, dove ti pare ti toccare il cielo e la mente vola leggera e felice. 

Scendo fino alla sosta superiore della parete verticale e con manovra in corda doppia mi calo nuovamente alla base del salto di roccia. Recupero corda e materiale e imbocco all'incontrario il sentiero Brentari per tornare al rifugio Pedrotti. Ho finito acqua e sali da bere e sudando ancora come un cammello ho una sete mostruosa. Verso le 14.00 sono di ritorno al rifugio dove mi “lancio” a bere, appunto, come un cammello.

Gran parte dell’avventura è andata, e come sempre mi capita in questi frangenti provo una grande gioia per essere riuscito, e un filo di malinconia perchè è quasi tutto finito.
Mi prendo un’ora e mezza comoda per riposare, godermi il panorama comodamente seduto su una panchina del rifugio, salutare il gentilissimo personale, per poi incamminarmi per la discesa. In circa 2 ore sono al parcheggio Val Biole e questa volta la “spedizione” è davvero finita. 

E’ stato bello, bellissimo, lo ricorderò a lungo. Un ringraziamento particolare ad Angelo, senza le sue indicazioni, e la corda leggera che mi ha prestato, non sarebbe stato possibile.
Spero che questo pezzo, eccezionalmente in due puntate (così festeggiamo anche il decennale del blog), sia di stimolo per qualche lettore per pensare di fare questa salita. Ne vale davvero la pena.

martedì 5 settembre 2017

Cima Tosa , giorno 1

Da tanto tempo avevo in mente di salire sulla cima Tosa, nel cuore delle Dolomiti del Brenta, ma per i motivi più vari, primo fra tutti la difficoltà di trovare un compagno di avventura disponibile nelle mie poche date a disposizione, il progetto era sempre naufragato.
Sì, perché per salire la Tosa dalla via normale c’è un tratto di arrampicata di circa 30 metri, non molto difficoltoso (II-III° grado), ma che in caso di caduta è facile immaginare quali conseguenze comporti. Necessario quindi, a meno di essere dei campioni con un margine di sicurezza estremo o dei folli, salire in cordata assicurati. Per come la penso io poi, anche se sei un campione che sale su un tratto molto semplice l’imprevisto è sempre in agguato e se cadi, campione o non campione, non avrai la possibilità di raccontarlo. Di errori di quel tipo se ne fa uno solo. Inoltre non sono di certo un coraggioso, ma un discreto pauroso da questo punto di vista.
Anche quest’anno avevo programmato la salita della regina delle dolomiti del Brenta, 3170 m, per la fine di Agosto, ma nemmeno questa volta ero riuscito a trovare un amico che potesse condividere con me l’avventura.

Preso dallo sconforto ho consultato il mio amico Angelo, di nome e di fatto in quanto mi da sempre consigli preziosi in materia e anche fatto da capocordata in una bella via, nonché alpinista di livello molto superiore al mio. Angelo mi ha descritto la tecnica dell’autoassicurazione, e detto che nel caso nella normale della Tosa la cosa era fattibile sia perché avendo scalato assieme il mio livello tecnico era più che sufficiente, sia perché le laboriose manovre si dovevano fare una volta sola.
Preso dall’entusiasmo per questa possibile soluzione, ho rotto ogni indugio e deciso per la salita in solitaria…..forse ancora più stimolante dal punto di vista dell’avventura.

Dopo avere consultato le varie relazioni (in rete si trovano davvero molte indicazioni ben fatte) ho deciso subito che la salita andava suddivisa in due giorni. Il primo con avvicinamento al rifugio Pedrotti, il secondo la cima partendo dal rifugio di buona mattina.
Consultando carte e relazioni, si prospettavano due soluzioni : la prima con partenza dal rifugio Valesinella sopra Madonna di Campiglio, la seconda dalla zona Molveno-Andalo. Dopo vari ripensamenti la scelta è ricaduta sulla zona di Andalo-Molveno, se non altro per il più breve viaggio in macchina, sia per la maggiore spettacolarità del percorso di avvicinamento che percepivo.
Molte relazioni citavano la zona di arrivo della funivia del Pradel di Molveno come punto ideale di partenza, ma volendo fare una salita “pulita” ho voluto rinunciare alla funivia e ho deciso di lasciare la macchina al parcheggio Val Biole appena sopra Andalo, a circa 1180 metri di quota.

Dopo avere provato le manovre di sicurezza e di corda in un prato pendente, arriva il giorno della partenza.
GIORNO 1 – Parcheggio Val Biole – Rifugio Pedrotti
Frequentare l’alta montagna richiede un primo step fondamentale per la sicurezza : l’osservazione delle previsioni meteo che al giorno d’oggi sulle 48 ore hanno un livello di precisione notevole. Da tempo mi sono convinto che il sito migliore, anche se forse meno conosciuto, sia 3B Meteo e le previsione per il giorno 1 dicevano temporali dalle 17.00 in poi.

Alle 11.00 circa sono quindi al parcheggio Val Biole, smanioso di partire per i 2500 m del rifugio Pedrotti dove da un paio di giorni ho prenotato il pernottamento.
Il tempo pare molto buono, e non si vedono nubi all’orizzonte. Fa caldo, molto caldo e nello zaino carico ben 4 litri di sali minerali. Serviranno nei miei piani anche per il giorno 2 e  mi sembra “tanta roba”, ma mi accorgerò ben presto che le stime erano in difetto.
Assieme ai 4 kg di abbeveraggio nello zaino ci sono: 4 panini, 60 metri di “mezza corda” (prestata generosamente da Angelo) , tutti i ferri del mestiere (imbrago, kit da ferrata, 5 moschettoni, 4 rinvii, discensore a piastrina, 3 cordini in kevlar, maglia rapida) , abbigliamento con 2 ricambi sia per tempo caldo che per tempo freddo e poco altro. Il peso complessivo è scoraggiante, sono circa 12 kg e fare 1400 metri di dislivello con quel peso addosso, non essendo molto abituato, si rivelerà una faticaccia immane che non immaginavo così grande.

Comunque si parte. Primo step Baita Pineta dove per 100 metri proseguo diritto mancando clamorosamente il bivio, distratto dal cartello “Zona dell’Orso” con tanto di istruzioni comportamentali. Per fortuna me ne accorgo subito e perdo 5 minuti appena fra errore e rientro. Secondo step all’arrivo della funivia del Pradel con vista panoramica sul lago di Molveno. Terzo step il bellissimo sentiero panoramico che porta ai circa 1450 metri del rifugio “Croz dell’Altissimo” da cui si iniziano ad intravedere le guglie del Brenta e in particolare la montagna che da sempre più mi ha affascinato : il Campanil Basso. Anche da lontano è splendido e imponente, e il suo fascino mi ammalia inevitabilmente. Dopo circa 1h’30’ sono al “Croz dell’Altissimo”. Fa un caldo inaspettato, e nonostante l’abbigliamento tecnico sudo in modo copioso. Ho una sete bestiale, e mi rendo conto che se non mi limitassi farei fuori tutti e quattro i litri di sali già il primo giorno.
Il quarto step di giornata è il rifugio Selvata a circa 1650 metri. Si inizia a salire sul serio e le pendenze aumentano. Arrivo al rifugio e faccio la prima sosta di giornata, con panino che sbrano letteralmente. Le 17.00 sono ancora lontane ma nonostante un cielo non ancora molto coperto sento qualche goccia cadere. 

Mi prende un certo senso di ansia…. la strada per il Pedrotti è ancora molto lunga. Se i temporali arrivano in anticipo? Non è certo una bella cosa trovarsi in mezzo a uno degli attuali devastanti temporali estivi , magari a 2000 metri fra le montagne. Riparto “a bomba” per la mia salita verso il quinto step : il baito denominato “Massodi” a circa 1950 metri. Mente salgo ci sono momenti in cui la pioggia pare salire di intensità, come la mia preoccupazione, ma per fortuna va e viene e le nuvole si alternano a schiarite in cui compare pure il sole. Non si capisce bene “che tempo che fa”. Sta di fatto che dopo circa 2h30’ sono al baito Massodi, inizio ad essere stanco, ma in alto compaiono alla mia vista i rifugi Tosa e Pedrotti. E’ una notevole spinta motivazionale: riparto di slancio anche se occorrerà ancora parecchio per arrivare a destinazione.

Il paesaggio attorno a me nel frattempo diventa meraviglioso. Mi accorgo che la mente abbandona ogni pensiero negativo ed entra in simbiosi con quella natura così fantastica. E’ una sensazione bellissima, la magia della montagna fa in parte dimenticare la fatica che sia per la salita e specialmente per il peso dello zaino è tanta. Le gambe si fanno dure e anche superare qualche gradone di sassi a volte richiede un discreto sforzo, i bastoncini aiutano.

Sono passate poco meno di 4 ore e arrivo al rifugio Pedrotti. Sono stanco morto, ma sollevato per avere evitato il temporale che verso le 16.00 arriva puntuale (a dire il vero con un’ora di anticipo ma quelli di 3B Meteo sono davvero incredibili e azzeccano la previsione quasi alla perfezione). La precipitazione è violenta, con tuoni che in mezzo alle montagne rimbombano in modo impressionante e fulmini. Mi vengono un po’ i brividi a pensare di cosa sarebbe stato trovarsi lì in mezzo. Forse mi sono preso poco margine e fidato troppo delle previsioni orarie che non sono poi  sempre così precise: mi è andata bene, per fortuna. Riposo un po’ nella branda della stanza da 10 letti dove mi destinano (però ci sono solo altre 4 persone oltre a me). Verso le 17.45 torna il sole e ho il tempo di farmi come da
programma un pezzo delle bocchette centrali fino ad arrivare proprio sotto al campanile basso. Sono da solo, non c’è nessuno, sotto una delle montagne dei miei sogni. Sono molto emozionato e penso che si, un giorno forse riuscirò a salirlo questo campanile, certamente semmai guidato da un primo di cordata esperto. Vedere le soste delle doppie per la discesa sulla parete completamente verticale mi fa però un po’ di impressione. 

Rientro in rifugio per le 19.00 circa, giusto in tempo per la cena. Sono da solo su un tavolo, ma un gruppo di tre persone forse intuisce che mi farebbe piacere un po’ di compagnia e mi invita a stare con loro. Dopo poche chiacchiere sui nostri programmi pare già di essere amici da tempo. E’ lo spirito della montagna, che tende a unire le persone e farti sentire parte di un'unico grande gruppo.  Alle 21.00 è previsto lo spegnimento delle luci nelle camere, che avviene con precisione svizzera. Passeggio un po’ al buio fuori dal rifugio contemplando la suggestione dei rilievi in penombra, e poco dopo rientro in branda. Tappi da lavoro in spugnetta inseriti nelle orecchie, provvidenziali, data la potenza del russatore da competizione olimpica che c’è in stanza. Per fortuna è esattamente dall’altra parte della stanza, lui sotto e io unico in stanza nelle piazze alte dei letti a castello, e i tappi funzionano alla grande attenuando quasi del tutto quella terrificante macchina da disturbo del sonno.

La stanchezza fa il resto e gioca a favore: nonostante il materasso un po’ spartano e vincendo le mie preoccupazioni in merito alla difficoltà di dormire in rifugio crollo in un sonno inaspettatamente profondo e ininterrotto. Alle 6.00 tutti si alzano, e anch’io vinco la pigrizia in fretta per andare a fare colazione e partire per “l’attacco” alla cima.
Il tempo è splendido come da previsione 3B Meteo, e l’aria che si respira è di una freschezza e purezza idilliaca
Il giorno 2 sta per iniziare…..ma questo nella prossima puntata.